3. Protezione contro la corrosione.

Si possono avere numerose modalità di classificazione dei tipi di corrosione. Ad esempio, si possono considerare le corrosioni endogene ed esogene.

· Corrosione endogena: è la corrosione propria del metallo utilizzato. Si può manifestare sotto forma di corrosione uniforme nel caso dei materiali monofasici sufficientemente omogenei oppure nel caso in cui le eterogeneità sono distribuite uniformemente nel materiale polifasico. Essa si può anche manifestare sotto forma di corrosione localizzata nel caso in cui le eterogeneità (inclusioni, ...) sono sufficientemente estese per fissare in modo permanente delle aree anodiche in punti determinati della superficie del metallo (ad esempio, la corrosione per vaiolatura).

· Corrosione esogena: le cause di questo tipo di corrosione non sono da ricercarsi nel metallo stesso ma in fattori esterni. Essa si manifesta spesso con zone anodiche e catodiche estese perfettamente localizzate. I fattori principali sono:

- degli “incidenti” durante la posa in opera del metallo: difetti di superficie (rigature ...), incrudimenti locali (curvatura dei tubi, ...), etc.;

- degli errori nel progetto della struttura:

¨ accoppiamento galvanico fra due parti dell’apparecchiatura;

¨ eterogeneità dell’ambiente in contatto con il metallo, dovuto alla formazione di zone morte;

¨ esistenza di “caverne”, interstizi, assemblaggi non stagni, linee d’acqua (ad esempio, gocce).

Tutta la ricerca nella lotta alla corrosione deve iniziare con la soppressione delle cause di corrosione esogena.

 

3.1. Metodi di protezione contro la corrosione.

Un punto di vista particolare permette di classificare i diversi metodi in metodi cinetici e metodi termodinamici: tale classificazione è arbitraria ma comoda.

· Metodi cinetici: permettono di agire direttamente sui parametri cinetici: densità di corrente di scambio anodica e catodica I0,a e I0,c , coefficienti di Tafel anodici e catodici ba e bc, aree anodiche e catodiche Sa e Sc. In tale categoria possono essere ricordati:

- l’impiego degli inibitori;

- l’impiego dei rivestimenti;

- in una certa misura, la passivazione anodica.

· Metodi termodinamici: essi consistono nel diminuire eR - eM, fino addirittura a rendere tale differenza negativa. Si possono citare in tale categoria:

- la scelta del metallo;

- la protezione catodica, che permette di posizionare il metallo nella sua zona di immunità.

 

3.1.1. Impiego di inibitori.

Gli inibitori sono dei prodotti aggiunti all’ambiente corrosivo (ammine, fosfati, benzoati) che agiscono direttamente sul meccanismo della reazione intervenendo nella regione interfasica metallo/soluzione, modificando le correnti di scambio, i coefficienti di Tafel e/o le superfici attive. Senza entrare nei complessi dettagli dell’azione delle sostanze inibitrici, nella figura 15 sono illustrate le modifiche del diagramma di Evans

apportate dall’azione di inibitori catodici, anodici o misti.

 

Fig. 15

 

In questa figura viene ipotizzato che solamente le correnti di scambio sono diminuite per la presenza dell’inibitore.

 

3.1.2. Impiego dei rivestimenti.

I rivestimenti costituiscono una barriera fisica fra l’ambiente aggressivo ed il metallo da proteggere. La loro

efficacia dipende dal loro comportamento in presenza dell’ambiente aggressivo. Si possono distinguere:

· Rivestimenti metallici, ottenuti per:

- elettrolisi (Zn, Ni,Cr, Cu, Cd, ...)

- immersione (Zn, Sn, Al)

- diffusione di un elemento di lega (Zn, Al)

- placcatura, su prodotti piani durante la laminazione a caldo (saldatura per diffusione). Sono placcati anche su acciaio al carbonio: acciai inossidabili, ottone, nickel, cupro-nickel, rame, ... .

-Rivestimenti non metallici

- pitture, vernici contenenti eventualmente degli inibitori di corrosione;

- smalti, vetri;

- materie plastiche, gomme;

- fosfatazione;

- ossidazione anodica (Al) oppure chimica (Mg).

 

3.1.3. Impiego di metalli passivabili.

Certe leghe sono allo stato passivo in un certo numero di ambienti: essi sono quindi utilizzabili senza che sia necessaria una protezione supplementare. Tuttavia, è stato già evidenziato il problema della stabilità e della possibilità dell’autoriparazione degli strati passivati.

Praticamente sono utilizzabili i metalli che presentano una zona di passivazione sufficientemente estesa. Essi sono principalmente:

· Gli acciai inossidabili, la cui passivazione è dovuta alla presenza in lega del Cr.

· Le leghe di alluminio, per le quali è l’elemento base Al che è passivabile. Dato che l’alluminio è attaccabile in ambiente acido ed in ambiente basico , l’impiego di queste leghe è limitato a quegli ambienti in cui il pH è compreso fra 4 e 9.

Come per gli acciai inossidabili, le leghe di alluminio possono presentare delle corrosioni per vaiolatura, cavernosa, intergranulare e sotto tensione. Inoltre esse sono sensibili all’accoppiamento galvanico . Gli accoppiamenti più pericolosi sono quelli con le leghe di rame, gli acciai comuni, la grafite ed anche alcune altre leghe di alluminio. Inoltre gli ioni Ni2+, Cu2+, Hg2+ presenti nell’ambiente possono

essere ridotti direttamente ed i depositi metallici risultanti possono portare ad una corrosione galvanica severa.

· Le leghe di titanio: Il titanio si passiva facilmente nell’acqua e negli acidi ossidanti.

Grazie alla stabilità del suo strato passivato, è utilizzato principalmente in ambienti neutri e clorurati (industria del cloro, scambiatori in ambiente marino).

· Le leghe di nickel: relativamente nobile e difficilmente passivabile, il nickel è principalmente utilizzato sotto forma di leghe con Cr (Inconel 600), con Cr-Mo (Inconel 625, Hastelloy C): queste leghe sono facilmente passivabili come gli acciai inossidabili, e permettono di risolvere i problemi che non possono essere trattati con gli acciai inossidabili. Ad esempio, l’impiego di Inconel 625 permette di risolvere i casi di corrosione per vaiolatura o cavernosa in ambiente marino. Inoltre le leghe nickel-rame (Monel), nickel-molibdeno (Hastelloy B), sebbene difficilmente passivabili, sono più nobili del nickel: ad esempio, esse sono impiegate negli acidi concentrati caldi non ossidanti, come HCl e HF.

· Le leghe di zirconio: lo zirconio è passivabile molto facilmente e può essere utilizzato anche negli acidi non ossidanti. Invece il suo strato passivo è meno stabile in ambiente clorurato di quello del titanio. Impiego specifico: lega Zircalloy 2 oppure 4 nelle centrali nucleari per la sua resistenza alla corrosione in vapore d’acqua fino a 350°C (lo Zr è caratterizzato da una sezione d’urto di cattura dei neutroni estremamente

bassa).

· Il tantalio: questo è passivabile molto facilmente e gli strati di passivazione formati sono molto stabili. Esso detiene il “record” di resistenza alla corrosione in ambienti aggressivi contenenti , e basi forti. Malgrado il suo costo molto elevato,esso costituisce talvolta la sola soluzione per i casi estremi (industrie dell’H2SO4, degli alogeni, farmaceutiche, etc.).

 

3.1.4. Protezione anodica.

Essa consiste nell’aumentare la tensione metallo-ambiente in modo da portarlo nella sua zona di passivazione. Questa tecnica viene impiegata nelle industrie dell’acido solforico, dell’acido fosforico, negli ambienti alcalini e per alcuni sali (alogenuri esclusi). Si può considerare:

· L’impiego di catodi statici, convenientemente distribuiti sulla struttura da proteggere e costituiti da metalli più nobili.

· L’impiego di un potenziostato che porta la struttura al di sopra della tensione di Flade e la mantiene fra i due limiti di passivazione. Dato che si deve raggiungere Icrit, le potenze istantanee che debbono essere fornite sono elevate, mentre le potenze che debbono essere fornite sotto passivazione sono piccole (Ipassiv molto piccola).

 

3.1.5. Protezione catodica.

Essa consiste nell’abbassare la tensione metallo-ambiente in modo da portarla nella zona di immunità. Due sono le possibilità praticamente utilizzate:

· Protezione catodica per corrente imposta, utilizzante un generatore esterno di f.e.m. regolabile ed un anodo ausiliario (figura 16 ).

 

Fig. 16

 

· Protezione catodica con anodo sacrificale. In questo caso la f.e.m. necessaria è ottenuta dalla differenza fra la tensione media della coppia di corrosione e la tensione propria (e più negativa) di un anodo, detto sacrificale (figura 17).

 

Fig. 17

 

La figura 18 mostra il principio della protezione catodica con anodo sacrificale su un diagramma di Evans semplificato ove, in particolare, è stato ipotizzato che la caduta ohmica nell’elettrolita sia trascurabile.

 

Fig. 18

 

Il punto A rappresenta la corrosione iniziale del metallo M, intersezione della curva di polarizzazione anodica del metallo e della curva di polarizzazione catodica dell’ossidante (riduzione di protoni, riduzione dell’ossigeno

disciolto, etc.).

La posa in opera della protezione catodica consiste nel collegare il metallo M ad un altro metallo M’ meno nobile in modo che la tensione dell’insieme metallico così costituito, rispetto alla soluzione, sia inferiore a eM: M è quindi nel suo dominio di immunità e la sua corrosione è nulla. Tale situazione è rappresentata dal punto P,

intersezione della curva di polarizzazione anodica (qui ridotta a quella di ossidazione del metallo M’) e della curva di polarizzazione catodica (che, per semplificare, si suppone non modificata).

La condizione di protezione catodica è quindi:

Praticamente si cerca di mantenere (eM - eP) fra 100 e 200 mV circa.  Una sovraprotezione troppo importante rischia di introdurre degli inconvenienti dovuti alla reazione catodica: formazione di idrogeno gassoso per riduzione dei protoni, alcalinizzazione dell’ambiente per riduzione dell’O2 disciolto, processo che può portare

alla distruzione parziale dei rivestimenti protettivi della struttura. In effetti, in molti casi, per ridurre il consumo di materia o di energia, si diminuisce considerevolmente la superficie da proteggere applicando inizialmente un rivestimento protettivo (pitture, smalti, resine epossidiche etc. ): la protezione catodica viene quindi limitata ai “difetti” del rivestimento.

Si deve sottolineare che l’interpretazione precedente è molto semplificata. In particolare:

· La protezione catodica comporta in effetti due stadi:

- polarizzazione della struttura, in modo da portarla dalla tensione di corrosione iniziale alla tensione di protezione eP;

- mantenimento di questa tensione durante tutta la durata il servizio.

· Si può avere una caduta ohmica non trascurabile nell’elettrolita oppure anche nella stessa struttura (è il caso, ad esempio, delle tubazioni).

I diversi anodi più utilizzati per la per la protezione di strutture in acciaio sono a base di magnesio, di alluminio e di zinco.

I dispersori di corrente utilizzati per il metodo a corrente imposta sono in ferro, in ferro-silicio, in piombo all’argento, in titanio platinato o in grafite.

L’impiego di uno o l’altro dei procedimenti dipende dal caso particolare. I loro domini di impiego si sovrappongono:

· Opere interrate: tubazioni.

· Opere immerse: carene di navi, recipienti, piattaforme off-shore, etc.

 

 

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